Appunti di lavoro


P e t e r   W e i b e l
Nuovi sguardi e nuove immagini del mondo

go back

Stiamo assistendo a una trasformazione radicale dell’immagine. Vi sono delle nuove immagini e delle nuove concezioni. Le nuove tecniche di riproduzione sono nate circa 150 anni fa. In questo caso non vorrei parlare di buona o cattiva arte, vorrei soffermarmi sul problema se le immagini siano innovative e in che misura lo siano. Queste immagini sono parallele alla rivoluzione industriale dell’800 e le chiameremo "trasformazioni tecniche del mondo dell’immagine".
Da un lato, alcuni scienziati, a partire dal 1872, come Maxwell, Fourier, ed altri, con la scoperta delle onde elettromagnetiche hanno iniziato questa trasformazione. All’epoca si trattava di trasformazioni solo teoriche, nessuno sapeva dove avrebbero condotto; Hertz fu il primo a scoprire queste cose. Poi ha scoperto che il nostro cervello possiede onde elettromagnetiche. Dall’altro lato, attorno al 1842, con le scoperte di Bell e Meucci, si è affermata la separazione fra il messaggio e colui che lo invia; prima del telefono, del fax, della televisione, ogni stringa di messaggi necessitava di un supporto corporeo; prima c’era bisogno di un essere umano per portare i messaggi, poi di un supporto. Dopo, il messaggio ha potuto essere mandato da solo, senza il bisogno di un latore; oggi potrebbe essere mandato senza necessità di supporti.
I due fatti sono collegati; infatti, se una cosa come la pittura ha bisogno di un corpo, l’immagine tecnologica, in quanto messaggio, potrebbe farne a meno.
Possiamo individuare diversi stadi per parlare dell’immagine tecnologica:
1) la fotografia, che è una immagine ottenuta mediante una macchina per produrre l’immagine, ed è poi processata con mezzi chimici (attorno al 1840);
2) già nel 1840 c’era una telecopiatrice, antenata dell’odierno fax, che poteva trasmettere un’immagine statica; 3) nel 1895 viene inventato il cinema; una tecnologia delle immagini in movimento aiutata da una macchina, e un’informazione immagazzinata chimicamente. E questo, se paragoniamo il cinema e la pittura, visto che ci sono di mezzo questi procedimenti chimici, è uno svantaggio, perché il pittore può cambiare il colore, al cinema è molto più difficile: quando le informazioni vengono assistite da procedimenti chimici non si possono più cambiare;
4) la televisione, infine, nata attorno agli anni 40, altra tecnologia dell’immagine a distanza, condizionata però dalla trasmissione "in diretta". In America, negli anni ’50, Bing Crosby, famoso divo televisivo, doveva fare la trasmissione dal vivo perché non c’erano sistemi di registrazione.
Fino a dieci anni fa si potevano fare determinati tipi di operazioni tecnologiche sulle immagini; inserire quadri di trasmissione nel quadro del video, creare giochi grafici, simulare distorsioni, anamorfosi, e tutti quei trucchi cinematografici e televisivi a cui siamo ormai abituati.
Oggi siamo arrivati a realizzare dei progetti come La tenda di Lascaux, prodotto con i miei collaboratori del Centro di Ricerca per i Nuovi Media. Davanti a un’immagine che mostra un muro, lo spettatore si trova davanti al muro. Ma questo muro non esiste in realtà; è solo una costruzione di dati nel computer, non è mai stato nemmeno filmato. C’è una telecamera molto molto piccola che dà il segnale al computer e poi questa immagine viene programmata dal computer. Poi c’è un proiettore che fa due cose, vi fa vedere il muro e lo spettatore proiettato. Nella vita normale siete davanti al muro, ma, nella vita virtuale, siete dentro il muro. Quindi c’è un corpo vivo che è davanti al muro, però c’è anche un corpo che esiste solo nel mondo virtuale ed è dentro il muro. Qui siamo degli osservatori interni dell’immagine. Anche al cinema siamo degli osservatori interni, perché siamo in una scatola nera di fronte allo schermo, ma non possiamo modificarla. Ma in questo caso invece l’osservatore viene simulato, e si trova dentro il muro, come se spingesse verso di noi. Siamo dentro ciò che stiamo osservando.
In questo senso, essendo dentro l’immagine, l’osservatore modifica ciò che vede. È dentro il sistema di osservazione, e qualsiasi cosa faccia modifica l’immagine del muro. È un tipo di immagine che non esisteva fino ad oggi. Quando si va al cinema — o in una galleria d’arte — il fatto che il pubblico stia a guardare non cambia ciò che viene proiettato e che si vede.
Nell’arte classica l’informazione era imprigionata, era bloccata e non si poteva cambiare l’immagine guardandola. Per la prima volta, con l'immagine virtuale l’informazione non è imprigionata, o bloccata. Quello che significa virtuale è che l’immagine è immagazzinata ma è anche fluida. L’informazione immagazzinata virtualmente si può cambiare continuamente; l’immagine diventa un campo di variabili. Non è un campo di variabili statico, ma dinamico: è un sistema dinamico di variabili. Questo si può definire la virtualità dell’informazione immagazzinata. E poi c’è anche una variabilità dell’oggetto che c’è sull’immagine.
Ora consideriamo un principio telematico che ho chiamato "principio di non località". In un altro video che abbiamo prodotto, intitolato L’immagine tangibile; delle persone sono davanti a uno schermo. Nessuno tocca né le persone né lo schermo. Sopra lo schermo del televisore c’è uno schermo di gomma e quando si tocca la superficie di gomma cambia l’immagine sullo schermo. Questo dispositivo si chiama "interfaccia" proprio perché non c’è connessione tra ciò che si tocca e lo schermo. Gli occhi, ad esempio, potrebbero venir definiti come delle interfaccia al naturale. Anche ad occhi chiusi abbiamo immagini. Il nostro rapporto col mondo non è "naturale" in senso semplicistico; ogni rapporto col mondo è interfacciato dalla pelle, dagli occhi e da altri organi, che fungono anche da filtri. Inoltre, c’è una distorsione, per esempio, prodotta dalle nostre interfacce che sono i nostri organi di senso. L’unica macchina affidabile è piuttosto il cervello che riesce a correggere gli errori che fanno i nostri occhi...
Tutto il nostro mondo è fatto di gomma e plastica, ma non ce ne accorgiamo. Quando ci sono delle distorsioni non riusciamo a capirle.
In un’altra mia opera, che ho esposto anche a Colonia nel ’93, vediamo ventinove punti virtuali che corrispondono alle lettere dell’alfabeto, disposti sul pavimento. Premendoli possiamo creare delle parole e delle sculture virtuali sulla parete di fronte a chi guarda. Quando si ha una macchina per scrivere si può scrivere solo con i caratteri di quella macchina poiché non ha a disposizione immagini. La ragione per la quale il computer viene chiamato macchina universale è che riesce a produrre suoni, lettere, immagini, contemporaneamente. Questa è una specie di macchina universale con cui chi interagisce può produrre tutto questo o anche oggetti tridimensionali. Infine una quarta possibilità dello schermo è il mondo delle creature virtuali, cioè degli oggetti virtuali che, prodotti da chi osserva, si riproducono indipendentemente secondo degli sviluppi casuali, come una vera e propria popolazione virtuale.
Ciò significa che non solo variabilità e virtualità ma anche vitalità [viability] sono dunque le caratteristiche chiave del mondo delle immagini tecnologiche.
Le immagini che creo non hanno un comportamento meccanico, ma si comportano come se fossero cose vive. Facciamo l’esempio del gatto: se uno ha dei dubbi se sia vivo o no, pesta la coda del gatto e il gatto salta. Questo è l’input; il gatto salta — output — perché ha un comportamento molto limitato. Se gli si pesta la coda non diventa un leone, però può saltarmi addosso, può scappare, ecc. Ora, certe immagini generate possono avere una libertà limitata, però possono reagire. Per la prima volta l’immagine è una cosa viva, perché c’è l’input che viene dall’osservatore, che in qualche modo può riuscire a manipolare il processo.
Inoltre, come dimostrano altri video che abbiamo prodotto in collaborazione con il Centro, interfacciare suono e immagine è possibile. Tutto quello che succede nello spazio e nel tempo succede in quattro dimensioni e si può localizzare con un numero; non importa se il segnale sia acustico o visivo. Con un microfono e un computer la voce può essere trascodificata in una catena di numeri e con questa catena di numeri si può cambiare l’immagine che c’è sullo schermo. Con questo sistema si può fare qualsiasi cosa e in questo sistema la voce può essere definita "contesto". Il contesto può essere una voce, un corpo, un’altra macchina o un’altra immagine. Qui ci sono delle variabili dinamiche dell’immagine controllate da ciò che chiamiamo contesto. Questo insieme di suoni e immagini correlati si può definire mondo multisensoriale. In questo caso si può controllare tramite la voce ogni singola zona dell’immagine: il suono prende forma.
L’arte classica prendeva la sua concezione dell’immagine dall’idea della finestra, ed era dalla finestra che si riusciva a vedere il mondo. Ora c’è un’immagine che è posta in variazione dal suono e da altri eventi, virtualizzati e messi in connessione all’immagine stessa. Bisogna dunque parlare di eventi e non più di immagini. L’immagine a cui ci troviamo di fronte non è più una finestra, ma semmai una porta, perché tramite essa possiamo passare dall’altra parte. Lo spettatore può passare ed entrare in questo mondo, uscirne e modificarlo — elasticità che l’arte delle immagini non ha mai permesso. Il contesto è controllato da un mondo di eventi caratterizzati dalla vitalità, la variabilità, la virtualità che fanno sì che il comportamento sia verosimile. L’immagine classica non riusciva a cambiare il mondo ed era statica. Gli artisti che vogliono trasformare il mondo dovrebbero occuparsi di questo genere di immagini.
Il mondo della realtà virtuale somiglia a quello della fisica quantistica. La situazione classica che tutti noi viviamo è una prigione dello spazio e del tempo dove l’orizzonte è molto locale, c’è solo quello che riusciamo a vedere e abbiamo il forte desiderio di saltare fuori da questo mondo. Jim Morrison dei Doors aveva una descrizione efficace di questa situazione e del nostro stare sulla terra: "Nessuno uscirà vivo di qui". L’unico modo di uscire di qui è quello di morire. La morte è questo tasto di escape che ci porta fuori dal mondo; in questo senso un altro escape è la religione. Chi è fuori dal mondo si chiama Dio, perché è l’unico soggetto fuori dal mondo.
Con queste tecnologie possiamo uscire fuori dal mondo: questo nuovo mondo di nuove immagini è un modo diverso di uscire dal mondo. I filosofi hanno elaborato del resto molti modelli per uscire da questo mondo. Pensiamo al modello della caverna platonica: l’osservatore dentro la caverna vede solo le ombre delle cose del mondo, a loro volta ombre delle idee. In Aristotele invece c’è il modello della scena: tu sei l’osservatore che guarda il mondo, ovvero ciò che avviene sul palcoscenico, ma non puoi fare niente per cambiare ciò che accade su di esso.
Invece nel mondo come interfaccia abbiamo un modello che si può chiamare "modello della tenda" (si pensi al video interattivo La tenda di Lascaux): siamo osservatori interni al mondo e grazie a questi dispositivi tecnologici possiamo uscire dalla caverna.
Nella fisica classica tutto è locale. Quando mi percuoto la spalla il suono nasce dalla spalla, e il dolore è sentito da me. Ma tutto sarebbe molto diverso se io mi percuotessi la spalla e il dolore venisse sentito da qualcun altro. Però Bell, insieme a Maxwell negli anni ’60, ha dimostrato che nel mondo della meccanica quantistica questi principi locali non esistono: toccando una particella atomica, questa informazione viene registrata da un’altra particella lontana nell’universo, ad una velocità superiore a quella della luce. Di fronte a questi fenomeni ci sono due possibilità: o Einstein non ha ragione, ed esiste una cosa che è più veloce della velocità della luce; oppure, come ha sostenuto Bell, l’universo non è locale. Quindici anni dopo è stato dimostrato che Bell aveva ragione: il principio di località valido in Terra, non è valido nella meccanica quantistica.
Un esempio di universo non-locale è il vudù; quando uno fa male a una bambola un altro soggetto lontano muore. Oppure il telefono: quando uno fa un numero, un’altra persona lontana risponde. È ovvio si tratta di esempi diversissimi; nel secondo caso vi è una non-località simulata elettronicamente. Ma quel che conta è che nel futuro creeremo non più solo immagini variabili elettronicamente, ma creature virtuali che potranno imparare e ricordare, soggetti senza corpo ma viventi — riunendo così i nostri tre capisaldi: variabilità, virtualità, vitalità.
Non c’è immagine senza osservatore, ma l’osservatore è interno. Con la pittura c’è sempre questo problema dell’osservazione. Quando si guarda il quadro di Vermeer Il pittore e la fama, si dice che la figura del pittore seduto di spalle, rappresenti appunto Vermeer seduto davanti al quadro. Ma come è possibile questo, se l’artista stava dipingendo il quadro stesso che guardiamo? Forse ha messo un amico, ma allora si tratta di una autoritratto finto, oppure ha costruito un sistema di specchi per creare un’interfaccia e vedersi mentre dipingeva come osservatore esterno. Vermeer era amico di Loevenhoek, il quale era, all’epoca, l’inventore più famoso di strumenti ottici in Olanda. Forse Loevenhoek ha costruito qualche strumento per Vermeer, visto che erano amici. Forse Vermeer ha fatto cose simili a quelle che stiamo cercando di fare noi. Questo significa che anche nell’arte classica erano presenti i tentativi di uscire da una concezione statica e immobile dell’immagine.
Per concludere, possiamo dire che l’arte è come un albero con molti rami, dunque ogni ramo seguirà la propria linea, e le tecniche tradizionali sono come vecchi rami rispetto ai nuovi rami, che sono le nuove tecnologie. Tuttavia, la cosa importante è che questi nuovi rami, a loro volta, cambiano l’aspetto dell’albero da cui sono nati, quindi anche l’arte dovrà cambiare per effetto di tutto ciò.