L l i l i a n   L l a n e s
Polarizzazione o Universalizzazione dell’arte?

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In diverse occasioni mi sono interrogata a proposito del ruolo che debba svolgere l’arte nel mondo di oggi, in virtù di quei fattori che, a mio modo di vedere, potrebbero favorire o impedire la difesa del suo autentico sviluppo. L’argomento è molto complesso e anche solamente un approccio ad esso avrebbe bisogno di più spazio e di più tempo. Ciò nonostante, possiamo iniziare ad affrontarlo riflettendo su alcuni dei problemi ad esso afferenti e, in particolare, sulla visione che oggi si ha dell’arte universale.
Di fatto, ci siamo abituati a parlare di "arte contemporanea universale" facendo esclusivamente riferimento a quanto viene prodotto nei paesi altamente industrializzati; questo è il risultato, tra le molte altre cose, del potere di divulgazione delle loro immagini che, indubbiamente, si universalizzano alla velocità che i loro mezzi di comunicazione consentono. Sul tavolo di qualsiasi critico d’arte o direttore di museo è sempre possibile trovare una gran quantità di materiale informativo sull’attività artistica del momento, cosa peraltro naturale. Ma ciò che va notato è che, viaggiando da un continente all’altro, sui tavoli di questi esperti si ritrovano insistentemente sempre le stesse pubblicazioni che viaggiano per il mondo a rendere testimonianza di ciò che succede nell’arte "a livello internazionale". Per un verso mi pare fantastica l’agilità con cui queste informazione si spostano; ma da un altro mi pare preoccupante il fatto che proiettino un’immagine davvero limitata. La visione dell’arte che si desume da questo materiale è ridotta quasi esclusivamente a ciò che viene esposto sostanzialmente in Europa e negli Stati Uniti. E grazie alla centralizzazione delle risorse di cui dispone questa parte di mondo non è possibile percepire un’altra realtà oltre a quella trasmessa dai suoi mezzi di comunicazione.
Sfogliando i cataloghi, le riviste, i giornali, si vedranno sempre gli stessi nomi. Nomi che provengono dagli stessi luoghi. Ma se per un qualsiasi motivo, si volesse soddisfare la curiosità di sapere cosa succede ad altre latitudini, per farlo bisognerebbe ricorrere a percorsi molto diversi e costosi.
Anni fa decisi di tentare di conoscere cosa succedeva in paesi dei quali sapevo solamente, tanto per fare degli esempi, che erano colpiti da una fama perpetua, o che erano stati la culla, migliaia di anni addietro, di straordinarie civiltà, o che erano in guerra.
La situazione allora era piuttosto complessa. Durante i miei studi del corso di laurea in Storia dell’Arte, non mi ero formata un punto di vista più ampio di quello che potrebbe avere un qualsiasi studente europeo. Il nostro piano di studi prevedeva un esame di Arte Contemporanea che persino nel mio paese, nel centro del Terzo Mondo, contemplava solo lo studio delle manifestazioni contemporanee dell’arte europea, a cui veniva aggiunta l’arte nordamericana, a partire dai suoi contributi allo studio di qualche architetto giapponese.
Per quanto riguardava l’Asia, l’Africa e il Medio Oriente, non si andava più in là dello studio delle manifestazioni legate alle loro tradizioni storiche. L’arte lì sembrava essersi conclusa con le espressioni millenarie o folkloriche. È vero che a proposito dell’arte contemporanea latinoamericana si potevano soddisfare molte aspettative. Eravamo abbastanza al corrente di ciò che succedeva nella maggior parte di quei paesi. Ciò nonostante, veniva studiata separatamente, senza la necessaria interrelazione con quanto succedeva nel resto del mondo.
L’arte contemporanea non aveva cognome: si dava per scontato che fosse quella europea, quella "occidentale", cioè "universale". E naturalmente col termine occidentale si includeva anche il Nord America e si escludeva l’America Latina. Tentando di soddisfare la mia curiosità sulla produzione artistica di popolazioni che rappresentavano la continuità storica di quelle che configurarono le grandi civiltà, consultai la bibliografia esistente: riviste d’arte a diffusione internazionale, cataloghi di grandi esposizioni o di eventi internazionali, libri e un certo numero di saggi. Ma tutte queste pubblicazioni provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti vertevano sempre sugli stessi argomenti: le espressioni artistiche realizzate ed esposte nel Primo Mondo e, al suo interno, in alcune città che erano riuscite a costituirsi come centri fondamentali di potere del mondo dell’arte. Non trovai quasi pubblicazioni di altre regioni e men che meno informazioni sull’arte contemporanea che li si realizzava.
Erano i primi anni ottanta e da allora il tempo è trascorso, la situazione è in parte cambiata e per quanto mi riguarda sono riuscita ad accumulare un po’ di informazioni sugli artisti del Terzo Mondo. Ho potuto peraltro cogliere dei cambiamenti di mentalità anche in certi settori legati all’arte in Europa. Per lo meno credo di aver riscontrato manifestazioni di interesse, in alcuni casi molto significative, verso la creazione artistica attuale dei paesi sottosviluppati. Categoria, quest’ultima, che veniva applicata in modo estensivo a tutte le sfere della vita di questi Paesi. Si inizia a capire che la povertà dal punto di vista economico che indubbiamente li caratterizza non implica necessariamente povertà di risorse intellettuali; si inizia lentamente ad accettare l’esistenza di una creatività propria e va prendendo corpo un atteggiamento che si sta trasformando da mera curiosità ad autentico interesse professionale. Tuttavia, anche tenendo presenti questi dati, non sono sicura che in termini relativi la situazione odierna sia molto diversa da quella degli anni in cui iniziavamo a cercare informazioni sull’arte attuale del Terzo Mondo: e non solo per quanto riguarda l’informazione, ma soprattutto in relazione alla vera comprensione e fruizione delle particolarità della creazione dei suoi artisti.
Di fatto, gli esami in molte università continuano a considerare arte contemporanea universale quella che si vede in "Occidente"; i musei continuano a esporre artisti di questa provenienza e si continua a ritenere che questi artisti riassumano lo spirito del nostro tempo. A volte nomi di artisti latinoamericani o africani fanno capolino in esposizioni internazionali; i musei poi espongono le loro opere più per dare un immagine di ampiezza di vedute che per convinzione. In questo senso ritengo che, nonostante tutto quello che si è fatto, la conoscenza dell’arte contemporanea universale continui a essere limitata e ridotta a quello che si espone nei circuiti strutturati e organizzati per consacrare un certo tipo d’arte.
Indipendentemente da tutto, la realtà si imporrà e sarà molto difficile continuare a ignorare l’esistenza dell’altro, di mondi differenti, la cui presenza sul pianeta non si può più sottovalutare. E nel campo dell’arte e almeno di questo dobbiamo essere orgogliosi si sta progressivamente affermando l’intenzione di rispettare le peculiarità contestuali, nel convincimento che nessuna cultura sia superiore a un’altra; si tratta di espressioni che, sebbene isolate, offrono delle speranze riguardo alle necessarie trasformazioni etiche che si dovranno realizzare nel mondo in cui ci è toccato vivere, mondo nel quale stanno pericolosamente prendendo piede le emarginazioni, la xenofobia e il predominio della forza sulla ragione.
Indubbiamente, la consegna postmoderna di difendere le differenze e di rispettare le peculiarità dei rispettivi contesti ha contribuito a una migliore comprensione della diversità del mondo d’oggi. Ma, nelle attuali circostanze, è necessario riconoscere l’esistenza di problemi che non sono più esclusivi di una o di un’altra regione dell’Emisfero. Problemi che hanno una base etica e le cui espressioni sono diverse a seconda dei loro ambienti circostanti; ma che hanno la stessa origine e che si stanno convertendo in preoccupazioni universali dell’uomo attuale.
Tra questi potremmo citare, per esempio, quello delle emarginazioni. La discriminazione, per la razza, per la condizione femminile, o per essere immigrante in un altro paese esiste e non importa il paese in cui si verifica. Cosa permette che la società contemporanea assista a questo fenomeno passivamente?
Ciò nonostante va notato che, nel campo dell’arte, questi fatti non passano inavvertiti e li si sta analizzando indifferentemente negli artisti degli Stati Uniti, del Canada, del Sudafrica che del mondo arabo. E questi temi, da punti di vista molto diversi e con linguaggi differenti, si possono vedere sia in Documenta di Kassel sia nella Biennale dell’Avana.
Che cosa separa le opere d’arte di un’artista sudafricana come Sue Williams, da quelle della nordamericana Adrian Piper, o della palestinese Mona Hatoum, o della ceca, residente in Canada, Vera Frenkel?
Secondo me, riflettono tutte il modo di sentire di quest’epoca. Questo le unisce, ed è questa la cosa importante. E lo riflettono attraverso la loro contemporaneità, sia in termini di concetti che di linguaggi.
Va detto, tuttavia, che ho sentito diversi amici critici europei di grande livello affermare che a loro non interessa l’arte del Terzo Mondo perché è più vicina alla sociologia e all’antropologia che all’arte. Che cosa impedisce loro di vedere il mondo nel suo insieme e di apprezzarne le differenze?
Non lo so.
Forse sarebbe d’aiuto una precisazione ulteriore sulla natura e sul concetto di arte. Sui suoi limiti e le sue frontiere. Possiamo forse arrivare all’estremo di stabilire una polarizzazione tra la sociologia e l’arte per l’arte, o consideriamo la creazione artistica in tutta la sua dimensione ed estensione possibile, concedendole il significato umanistico che le appartiene?
Credo che l’artista abbia il diritto di penetrare nella propria realtà liberamente, sia sperimentando in termini di linguaggio, sia considerando il contesto in cui vive. E non bisogna partire da un criterio di arte a maglie strette o polarizzato e pretendere da lui niente che vada al di là delle sue scelte, Da questo punto di vista, sarebbe bene fare uno sforzo per chiarire ciò che, attualmente, potrebbe alterare o impedire una piena comprensione di quanto succede nel mondo dell’arte su scala universale.
Siamo di fronte a una grande diversità di centri artistici e misconoscerli o ignorarli non serve a nulla. Ma va riconosciuto che è davvero difficile arrivare a farsi un idea completa di quello che succede nel mondo dell’arte su scala universale.

Abbiamo molti mezzi a portata di mano per sapere cosa succede in Europa o in Nordamerica. Da li si pubblicano le principali riviste d’arte, sono li i musei di maggior prestigio. Li hanno luogo gli eventi di maggior risonanza. Ma per gli artisti del Terzo Mondo, come si fa ad informarsi? Nei loro paesi, salvo rare eccezioni, non ci sono musei d’arte contemporanea con collezioni che si possano permettere di includere le peculiarità e gli apporti degli artisti a livello nazionale, e men che meno a livello regionale o provinciale. Non si può nemmeno contare su un sistema di riviste a diffusione internazionale, ben presentate, attraenti, che possano "vendere" i loro prodotti. L’attività commerciale ha preso l’avvio da poco, ma per le ragioni che tutti conosciamo non c’è una domanda in grado di contribuire al suo sviluppo.
Pertanto, sapere cosa fanno gli artisti di questi paesi non è impresa facile. Bisogna andare a trovarli, entrare nei loro laboratori, parlare con loro, sapere cosa pensano, viaggiare a lungo per penetrare in un mondo che non ha i mezzi per farsi conoscere.
Che risorse hanno a disposizione i paesi poveri per divulgare la loro produzione? Che mezzi hanno gli artisti del Terzo Mondo per far valere le proprie opere?
Nessuno ha paura di essere considerato ignorante per il fatto di non conoscere l’arte del Terzo Mondo. Ma, l’aspetto davvero grave, è che questa non conoscenza conduce a volte ad atteggiamenti poco professionali nei confronti di una realtà che non si conosce ancora a fondo. Oppure la si conosce in modo molto superficiale e, con l’illusione di averla capita, si fanno affermazioni originate da seri malintesi.
Il giorno in cui riconosceremo almeno l’esistenza di un’arte sconosciuta e incompresa avremo fatto un passo avanti in favore della cultura.
Nonostante le enormi differenze che caratterizzano tra loro i diversi Paesi del Terzo Mondo, il dato certo è che esiste un gran numero di artisti che lavorano intensamente a contatto con una realtà che, nonostante il deterioramento ambientale, non riesce a liquidare la loro spiritualità. D’altro canto, come conseguenza della povertà che li circonda, un numero crescente di artisti, come molti altri settori delle nostre popolazioni alla ricerca della "Terra Promessa", emigrano nei paesi ricchi dove stanno costituendo minoranze che agiscono all’interno dei paesi ricchi. Si tratta di artisti che portano con se i problemi specifici del Terzo Mondo e che, spostandosi nei paesi altamente industrializzati, esprimono nelle loro opere alcuni dei loro problemi e anche dei problemi nuovi determinati dalla relazione con il nuovo contesto. Talvolta riescono a integrarsi e a penetrare il sistema, tanto da essere considerati parte dell’arte nazionale che in questo caso significa anche universale. Per altri ciò è più difficile, o semplicemente non hanno il desiderio di integrarsi a livello profondo.
È indubbio, comunque, che molti di loro, che risiedano o meno nel loro paese d’origine, hanno concorso allo sviluppo di una nuova coscienza sociale ed espressiva partecipe dei grandi squilibri del mondo attuale e hanno, quindi, contribuito a una nuova dimensione dell’arte contemporanea universale.
Date le circostante della società attuale, non credo sia possibile che il mondo dell’arte in generale possa mantenersi ai margini della creazione artistica di popoli che, come tutti quelli che abitano la Terra, sono protagonisti di momenti cosi trascendentali la cui espressione nell’arte è ricorrente.
Il presente esige cambiamenti profondi nella mentalità degli uomini. Cambiamenti che conducano a rapporti etici più nobili e che permettano di garantire la sopravvivenza dell’Umanità.

Llilian Llanes
L’Avana, dicembre 1992