La Generazione delle Immagini, serie di incontri con artisti, critici e filosofi, è giunta alla terza edizione. Dopo aver affrontato, lo scorso anno, il rapporto con la multiculturalità (con artisti e curatori pro-ve-nien-ti da Giappone, Corea, Pakistan, Brasile, Cuba, USA, Russia), il tema di que-st’anno è il rapporto tra artista e società, e specificamente tra arte e città. Quando l’opera d’arte non è più chiusa in galleria o in museo, ma affronta lo spazio aperto e i luoghi pubblici, sorgono degli interrogativi: in che modo interagiscono gli artisti con lo spazio? Come vengono visti e giudicati gli interventi in città? Come reagisce quest’ultima all’invasione artistica? E infine, può servire tutto ciò a cambiare il modo in cui la città vive? Al centro di numerose analisi, la città è ormai un oggetto indefinibile anche per addetti ai lavori come architetti, urbanisti e geografi. In essa, come in un concetto-valigia, rientra un insieme complesso di luoghi, non luoghi, aree pedonali o dismesse, nuove costruzioni, vecchie ostruzioni, coperture, rivestimenti, smantellamenti, percorsi, discorsi e incidenti che a vario titolo riconduciamo al concetto di città. In realtà la città è oggi l’immagine stessa del nostro tempo, colossale e impraticabile metafora. Gli artisti più avvertiti sono quelli che oggi mettono a confronto le loro opere con questa metafora.
Antoni Muntadas, artista multidisciplinare, nato a Barcellona nel 1942, vive a New York dal 1971. Ha partecipato a numerose mostre come Documenta a Kassel, le Biennali di Venezia, San Paolo, Lione; ha esposto al Guggenheim e al MoMA di New York e al Centro Reina Sofia di Madrid. Tra i suoi lavori recenti ricordiamo la costruzione di un web site, The File Room, dedicato ai problemi della censura artistica e culturale e On Translation, un progetto che esplora problematiche di trascrizione, interpretazione e traduzione e che ha avuto un ulteriore sviluppo nell’ultima edizione di Documenta: The Internet Project.
Nato in Germania nel 1936 è dal 1965 residente a New York dove insegna alla Cooper Union School of Art. Fra i più conosciuti e scomodi artisti contemporanei, Haacke ha intrecciato il suo lavoro artistico con un costante impegno politico. Sue personali si sono svolte al MOMA di Oxford, alla Tate Gallery di Londra, al New Museum di New York, allo Stedelijk Museum di Amsterdam e al Centre Pompidou di Parigi. Indimenticabile l’installazione presentata al Padiglione Tedesco della Biennale di Venezia del 1993 che gli è valsa il Leone d’Oro.
Group Material è un collettivo artistico newyorkese di cui hanno fatto parte in momenti diversi Tim Rollins, Felix Gonzalez-Torres, Doug Ashford e, naturalmente, Julie Ault, componente del gruppo dal 1979 (anno della fondazione) ad oggi. Uno dei principali obiettivi di Group Material è la decostruzione della tipica esposizione museale a favore di un’arte che privilegia l’esperienza, l’informazione e la partecipazione sia di altri artisti che della gente comune. Con la sua azione il gruppo ha messo in crisi il concetto romantico di artista.
Nato a Santiago (Cile) nel 1956, Alfredo Jaar lavora a New York dal 1982. È un artista che, usando i più svariati media, ha spesso sottolineato il problema della distanza tra il cosidetto Terzo Mondo e i Paesi industrializzati dell’Occidente. Numerose sono le sue partecipazioni nelle esposizioni internazionali (come Documenta, la Biennale di Venezia, ecc.) così come le sue personali in alcuni dei principali musei internazionali, ma spesso ha lasciato le mura delle gallerie e dei musei per lavorare negli spazi urbani, usando per esempio i cartelloni pubblicitari.
Curatrice indipendente e storica dell’arte Mary Jane Jacob è stata curatrice del MOCA (Museum of Contemporary Art) di Chicago e del MOCA di Los Angeles. Tra i numerosi suoi progetti riguardanti l’arte negli spazi urbani ricordiamo l’ideazione e la cura di Places with a Past: New site specific Art in Charleston e Culture in Action: New Public Art in Chicago. Recentemente ha organizzato il Festival dell’arte Conversations at the Castle, ad Atlanta nell’ambito delle manifestazioni culturali legate alle Olimpiadi del 1996.
Marc Augé, africanista di formazione, ha studiato per anni le popolazioni dell’Alto Volta e della Costa d’Avorio. Oggi rivolge il suo sguardo di antropologo ai problemi delle società complesse. Tra le sue opere, alcune delle quali tradotte in italiano, Simbolo funzione storia (Liguori, 1983); Il senso del male (Il saggiatore, 1986); Un etnologo nel metrò (Elèuthera, 1992); Nonluoghi (Elèuthera, 1993); e il recente Ville e tenute (Elèuthera, 1994). L’innovativo concetto di non-luogo, oggi al centro del dibattito culturale e artistico, sarà oggetto della sua relazione.

Nato a New York nel 1940, si è affermato negli anni Settanta come uno dei principali esponenti della Body Art. Negli anni Ottanta ha realizzato numerosi progetti in spazi pubblici fino a progettare delle vere e proprie risistemazioni creative dello spazio urbano. È uno degli artisti che maggiormente hanno indagato sul rapporto tra l'io e la società, non rifuggendo mai dall'idea dell'arte come messaggio. Tra le mostre principali ricordiamo le personali al MOMA e al Whitney Museum di New York e l'esposizione al Museo Pecci di Prato nel 1992.

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