Stile Arte (2006-2011) Anno 12 Numero 120 luglio-agosto 2008
Intervista a Marta Comini
Dalla carta alla strada,le giocose figure di Marta Comini si appropriano dello spazio reale: che siano i muri di fabbriche abbandonate o gli scorci suggestivi di città e villaggi sparsi per il mondo.
Scanzonate, divertenti, buffe, ammiccanti, le Gamines di Marta Comini sono le protagoniste di un innocente ed ironico sogno fashion che dalla penna della giovane autrice, appassionata illustratrice, sono approdate sulle pareti scrostate di contesti archeoindustriali abbandonati, inondandoli di una nuova luce. Stile ha incontrato l’artista.
Raccontaci come è nata la tua passione per l’illustrazione.
Premetto che se c’è una cosa di cui sono sempre stata sicura, sin da bambina, è che nella vita mi sarei dedicata all’arte. Ho sempre sentito chiara dentro di me questa inclinazione, questo desiderio di esprimermi attraverso il disegno. E per mia fortuna intorno a me, a cominciare dalla mia famiglia, ho trovato tutto il sostegno di cui avevo bisogno, potendo così assecondare le mie esigenze senza alcuna limitazione.
Ho frequentato il liceo artistico, durante il quale ho avuto modo di affrontare un percorso formativo “classico” che mi ha permesso di individuare presto la mia vocazione nei confronti di un’espressione legata al disegno e all’illustrazione, per rispondere alla quale ho poi scelto di proseguire gli studi alla Facoltà di Disegno industriale (dove sto per laurearmi).
Se dovessi tracciare una mappa dei riferimenti culturali che hanno contribuito alla definizione delle tue scelte espressive…
…sarebbe una mappa che si allarga sui secoli, perché - accanto ad un deciso ed evidente interesse verso alcune declinazioni dell’espressione contemporanea, in particolare verso i linguaggi della Pop art americana e di suoi protagonisti, come Lichtenstein - non potrei ad esempio non citare le soluzioni tanto straordinariamente avanguardistiche di Bosch, che in un’epoca così lontana utilizzava soluzioni espressive di grande modernità.
Un altro salto nel tempo mi porta a riconoscere un ruolo centrale nella definizione del mio stile a tutto il mondo dell’Art nouveau, con il suo linearismo raffinato e la ricerca decorativa molto spesso orientata all’arte applicata. Da un punto di vista tematico, poi, adoro la figura femminile, il corpo e tutte le sue rappresentazioni, in particolare amo osservare il modo cin cui gli uomini raffigurano la donna, come il loro sguardo vi si posa e come ne offrano le loro reinterpretazioni. A questo proposito trovo estremamente stimolante il confronto con la fotografia.
E da dove arrivano le simpatiche fanciulle protagoniste del tuo lavoro?
Le mie Gamines (dal francese: monelle) sono nate molto tempo fa, quasi per gioco, e poi, piano piano, sono state per me motivo costante di elaborazione. Nei primi abbozzi che tracciavo per divertimento sul diario di scuola, queste bambine dalle gambe lunghe e sottili erano come delle amiche con cui condividere la mia passione per gli accessori e gli abiti; via via sono diventate le protagoniste di un mondo femminile un po’ particolare, quello che abita la mia fantasia, caratterizzato da uno spirito autoironico e da un modo scanzonato di reinterpretare certe distorsioni che la società impone alla donna, destinandola ad assumere atteggiamenti e ruoli che a mio avviso hanno decisamente bisogno di essere sdrammatizzati.
Ecco allora le mie donne-bambine, nude o abbigliate all’ultima moda, colte in atteggiamenti giocosi o irreverenti, sempre con l’obiettivo di “alleggerire”, attraverso una visione ludica e divertita, un concetto di femminilità comunque sensuale e affascinante.
Come è accaduto che dai fogli da disegno sei passata ai muri scrostati delle fabbriche abbandonate?
Ho numerosi contatti con il mondo della Street art, e pur non avendo mai avuto esperienze dirette con il graffitismo duro e puro, ho sempre subito il fascino di quel modo di approcciare lo spazio pubblico, di appropriarsene per farne insieme mezzo e strumento di comunicazione artistica, che caratterizza il lavoro di tanti protagonisti di queste esperienze.
E da qui mi è venuta l’idea di provare a contestualizzare anche i miei disegni in ambienti già dotati di una loro valenza estetica o simbolica. Mi sono divertita a giocare con i resti di elementi architettonici o strutturali che ho trovato all’interno di aree industriali abbandonate per collocare le mie figure e sdrammatizzare, ancora una volta, luoghi e ruoli.
Possiamo dire che questo interesse ha trovato un’altra direzione espressiva nelle opere digitali che produci?
Direi di sì. Infatti, oltre a realizzare opere grafiche, con le tecniche usuali a tratto, a matita, ad acquerello, ad acrilico, ho iniziato a lavorare con tecniche digitali che, attraverso l’utilizzo di programmi vettoriali, mi hanno consentito di sperimentare una diversa maniera di reinterpretare le Gamines nel rapporto con lo spazio pubblico.
In questi casi ho semplicemente fruito degli scatti fotografici di luoghi che ho visitato nei miei viaggi e che mi hanno colpito particolarmente come sfondo per “ambientare” le mie figure. Mi piace molto osservare il modo in cui l’ambiente condiziona la gente, così come gli accessori o gli abiti contribuiscono a definire la personalità dei soggetti. Dunque, ogni personaggio è stato calato nel contesto di un’immagine reale, quasi a sottolineare un incontro possibile tra realtà e fantasia, sempre sotto il segno di un intento ludico e poetico.